SUMMIT DEI POPOLI A RIO+20 PER LA GIUSTIZIA AMBIENTALE E SOCIALE


SUMMIT DEI POPOLI A RIO+20
PER LA GIUSTIZIA AMBIENTALE E SOCIALE

Dall’Italia, passando per la Grecia e per la crisi europea e mondiale: l’urgenza del cambiamento.
Superare la crisi? Con un altro modello di sviluppo si può!


LO SPREAD ECOLOGICO. LA CRISI STRUTTURALE DEL SISTEMA.

Ogni giorno nel nostro paese assistiamo ad un peggioramento delle condizioni materiali di vita, come di quelle di miliardi di altri esseri umani nel mondo. Ogni giorno la crisi miete le sue vittime, consuma diritti, alimenta conflitti, distrugge speranze, cancella futuro. Dal 2007 la crisi finanziaria prima e quella economica poi stanno sgretolando ciò che rimane della democrazia, mettendo in evidenza l’assenza di una governance globale che sappia indicare la strada per uscirne. Anche a livello europeo il quadro è drammatico. Un Europa costruita su rigide basi monetarie e non fondata sui diritti e sulla politica è entrata in crisi. La diarchia dei governi tedesco e francese allontana i popoli dall’integrazione mettendoli gli uni contro gli altri mentre sostiene banche e grandi interessi finanziari e commerciali. Proprio questi ultimi sono coloro che hanno scatenato la crisi finanziaria e che oggi dopo aver drenato soldi dal sistema pubblico sono al punto di far fallire un paese sovrano: la Grecia. La situazione greca è l’emblema del processo di spoliazione dei diritti, di distruzione dell’economie locali e nazionali, di ogni statuto dei lavoratori, di ogni concetto di res pubblica e di beni comuni, svenduti con le privatizzazioni e le liberalizzazioni. Siamo davanti allo stesso tempo alla crisi della rappresentanza ed a quella della sovranità. La finanza internazionale ricatta interi paesi e liquida la democrazia. Il nostro paese è vittima delle stesse scelte che stanno distruggendo la Grecia. Austerità, pareggio di bilancio, privatizzazioni, subordinazione completa del lavoro alle esigenze del mercato, vengono indicate come le ricette da seguire. Sembra quasi che la democrazia sia un ostacolo fastidioso al quale dovremmo rinunciare a causa dello stato di emergenza decretato dalle banche. Noi continuiamo a ricordare a tutti che queste misure non solo hanno causato la crisi, ma che reiterarle aggraverà la situazione in maniera irrimediabile. Dobbiamo sbrigarci a riprendere in mano il timone del nostro destino affidato ai seguaci del liberismo economico e del turbo capitalismo, sotto la maschera del cosiddetto governo “tecnico”.


Ma la crisi che abbiamo davanti non è solo economica e finanziaria. È allo stesso tempo energetica, alimentare, migratoria e, soprattutto, ecologica. La crisi ecologica rappresenta oggi il cuore stesso della crisi. Una sorta di “Guerra alla natura” dichiarata dall’attuale modello di sviluppo che, con la complicità e responsabilità diretta delle forze politiche che vi si ispirano, ha superato da tempo i limiti del pianeta, distrutto ad un ritmo sempre maggiore le risorse non rinnovabili senza garantirne l’autorigenerazione, contratto un deficit ecologico senza precedenti nella storia, inquinato, stravolto il clima, acidificato i mari, desertificato molte terre, sciolto i ghiacciai, superato i limiti di assorbimento del pianeta. Per dirla in maniera chiara: questo modello è la più grave minaccia alla pace, allo sviluppo, alla giustizia, al lavoro, all’ambiente ed alle generazione che verranno. Il modello capitalista si sta dimostrando la più pericolosa arma di distruzione di massa mai sperimentata dall’uomo ed i suoi effetti rappresentano le principali minacce con cui la maggior parte della popolazione planetaria è oggi costretta a convivere.

In Italia tutto questo è ancora più evidente. Basti osservare l’assenza di prospettive e di un piano di politiche industriali, energetiche e commerciali che nel nostro paese manca da 20 anni. L’impreparazione della classe politica ad analizzare e  cogliere i cambiamenti epocali vissuti è ad un livello senza precedenti nella storia del nostro paese. In questo momento in cui non sembrano esserci alternative allo stato di crisi, l’Italia vive una fase di eccezione unica nella sua storia moderna. Il nuovo governo lavora supportato da una maggioranza di forza che si è resa responsabile della crisi e che continua testardamente a riproporle tali e quali. Subiamo ricette sbagliate per affrontare la crisi ed una metodologia nell’applicarle ancor più errata. Essendo screditati o venuti meno i corpi intermedi, le scelte del governo non vengono mediate ma imposte sulla popolazione, mai prima d’ora così distante ed allo stesso tempo arrabbiata con i palazzi del potere.


VENTI ANNI DOPO: A GIUGNO DEL 2012 RIO+20

Nel vertice del 1992, vennero adottate la Convenzione sulla Diversità Biologica (CDB), la Convenzione ONU sul Cambiamento Climatico (UNFCC) e la Convenzione per Combattere la Desertificazione. Sono passati venti anni e gli impegni dei governi non sono stati mantenuti, anzi. Siamo in una situazione ambientale, sociale ed ecologica drammatica e la scienza ci dice con forza che dobbiamo invertire la rotta prima che sia troppo tardi per noi. I fallimenti degli appuntamenti internazionali sono ormai una costante. Questi spazi chiusi alla società civile ed ai movimenti servono esclusivamente per consentire a lobbisti, rappresentanti delle multinazionali e della finanza internazionale di incontrarsi. Dopo il vertice mondiale della Terra di venti anni fa, che tante speranze aveva acceso, a giugno di quest’anno a Rio si incontreranno di nuovo per discutere non di come si cambia il modello che sta strozzando la terra e la maggior parte dei suoi abitanti, ma si discuterà di “green economy” che lungi dall’essere un’economia ecologica che abbia a cuore la giustizia ambientale e sociale. Sarà l’ennesimo circo in cui la finanza vorrà creare l’ennesima bolla speculativa: la bolla del carbonio. Via Campesina, la più grande rete di organizzazioni contadine a livello globale, la definisce “la maschera verde del capitalismo”. La finanziarizzazione dell’economia non tralascia certo l’ambiente. La finanziarizzazione della natura e della sua crisi è l’ultimo grande business del sistema capitalista. I movimenti e la società civile mondiale lo continuano a denunciare e saranno a Rio per promuove un Summit dei popoli per la giustizia ambientale e sociale dove lavorare con l’accademia, la scienza e le istituzioni che vorranno esserci a come cambiare il modello e costruire le alternative.

L’insostenibilità del modello di sviluppo e l’assenza di alternative sono infatti le cause della crisi di sistema diffusa ormai in tutto il mondo. L’inconciliabilità del sistema capitalista con i limiti della Terra produce un processo di continua spoliazione dei diritti e distruzione delle opportunità di accesso ad una vita dignitosa per miliardi di esseri umani. Più aumentano l’inquinamento, la distruzione del pianeta e dei beni comuni, gli eventi estremi che colpiscono le nostre città ed i nostri paesi, maggiore è la povertà e l’ingiustizia che colpiscono le fasce medie e più deboli della popolazione. L’insicurezza ambientale e l’accaparramento individuale delle risorse si traducono in forme odiose di ingiustizia ambientale e sociale. Parliamo di ingiustizia che colpisce in forme diverse. A partire da quella distributiva, colpendo una comunità più di altre per ciò che riguarda il peso dei rischi ambientali, sino all’ingiustizia verso un singolo o una comunità privata del suo diritto a partecipare, o non riconosciuta nei suoi diritti soggettivi o collettivi, oppure le cui potenzialità e/o sviluppo di una comunità a causa dei danni ambientali inflitti sono stati lesi. Senza dimenticare l’ingiustizia compiuta nei confronti delle generazioni a venire, private delle possibilità di accedere agli stessi beni e costrette a vivere in condizioni peggiori rispetto alla generazione precedente.

Di fronte a questo scenario, Rigas, la Rete Italiana per la Giustizia Ambientale e Sociale, composta da oltre 70 realtà tra comitati, organizzazioni sociali, sindacati , enti di ricerca etc. avverte l’esigenza di partecipare attivamente al dibattito in corso avanzando al contempo una serie di proposte fondate sulle attività che le diverse realtà che integrano la rete portano avanti da anni.
Proposte che nascono dalla considerazione per cui l’uomo è parte del sistema socio-ecologico e deve seguire le regole dell'ecosistema, a partire dai suoi limiti biofisici: sfruttare le risorse rinnovabili ad un ritmo che non superi la capacità di rigenerazione dell' ecosistema; limitarne l'uso in modo da produrre  quantità di rifiuti che possano essere assorbiti dall'ecosistema; sfruttare le risorse non rinnovabili  ad un ritmo che, per quanto possibile, non superi il ritmo di introduzione di sostituti rinnovabili. A fianco a tale evidenza, risulta indispensabile immaginare e lavorare alla costruzione di un'economia capace di perseguire il bene comune e di aumentare i beni relazionali, avente nei limiti fisici ecosistemici i propri limiti naturali e la reciprocità – anziché l’accumulazione – come fine.



FALSE SOLUZIONI. IL FALLIMENTO DEGLI ORGANISMI MULTILATERALI E DEGLI INCONTRI INTERNAZIONALI.

La necessità di una ridefinizione della Green Economy
Il nuovo modello di cui abbiamo bisogno deve ritornare a  mettere al centro l'uomo e le risorse naturali.  Il concetto di Green Economy è in tal senso un contenitore neutro. Può assumere una connotazione positiva o negativa. La Green Economy affidata unicamente alle logiche del mercato, senza regole e senza una visione precisa è una falsa soluzione, precisamente quella falsa soluzione dietro cui si è nascosto il fallimento della conferenza di Durban.  Pensiamo che sia venuto il momento di qualificare la Green Economy prima di firmarle una cambiale in bianco di salvatrice del mondo dallo shock petrolifero, dal cambiamento climatico e dalla crisi finanziaria globale. Questa qualificazione può a nostro avviso avvenire attraverso le categorie analitiche per l'appunto della terza rivoluzione industriale. La crisi climatico-energetico-economica che stiamo vivendo è la crisi di un modello di sviluppo preciso: quello della seconda rivoluzione industriale. Questo modello è basato sulle fonti fossili e il loro sfruttamento ad alta intensità di capitali, e a progressiva esclusione dell'intensità di lavoro. Oltre che naturalmente sulla dilapidazione delle risorse energetiche e naturali (notoriamente non infinite e perciò “finite”) una dilapidazione selvaggia senza alcun rispetto per il clima e l'ambiente ma anche con zero riguardi verso l'esigenza di uno sviluppo socio economico equilibrato che redistribuisca la ricchezza prodotta dalle risorse energetiche in modo etico e parsimonioso. Una Green Economy ispirata al modello centralizzato e affidata esclusivamente alle regole (o all'assenza di regole) di un mercato sempre più fuori controllo, non ci interessa e anzi contribuirà a far precipitare la situazione geopolitica.                   La nostra visione della Green Economy va invece verso tutt'altra direzione, cioè verso il modello interattivo e distribuito di internet. Ad esempio, dal punto di vista della generazione di energia, un modello che crea filiere energetiche locali collegando in rete migliaia di piccole e medie aziende capaci di portare sul mercato (distribuito anch'esso) una offerta di servizi energetici ad alto valore aggiunto compatibile con i bisogni energetici del territorio, settore per settore, dall'industria del turismo, all'agricoltura, dalle aree urbane, agli uffici, e alle zone industriali, integrando tecnologie termiche, elettriche, di stoccaggio e di rete intelligente. Non si tratta di un libro dei sogni, ma di un modello concreto e possibile già pianificato in alcuni posti ed in fase di realizzazione in altri. Per questa sua natura distribuita, ad esempio, questo modello energetico distribuito è in grado di rispondere alla domanda di energia del territorio secondo le logiche non del profitto ma della comunità e dunque di integrarsi perfettamente con la battaglia per i beni comuni e la salvaguardia delle risorse naturali. A Rio bisognerà dunque sostenere questa idea della Green Economy, distribuita, etica, interattiva, solidale e ben conscia della necessità di conformarsi agli equilibri naturali del pianeta.
L’humus nuovo sul quale ogni proposta di alternativa concreta deve essere seminata per poter efficacemente germogliare parte dallo stravolgimento di alcune condizioni di base che oggi sono strumento di controllo e di mantenimento dello status quo. Tra esse:
* L’uscita dalla dittatura della finanza e dal signoreggio del dollaro
La causa prima delle grandi fluttuazioni bancarie è la enorme massa di strumenti finanziari creata negli States ed utilizzata dagli speculatori di Borsa in varie parti del mondo.  Per uscire dalla crisi, gli Usa in primis e poi la BCE, stanno immettendo denaro nelle tasche delle banche che avevano speculato e perso centinaia di miliardi di dollari.  Oggi l’indice Dow John è tornato ai livelli del 2007, prima del grande crollo.  La prossima caduta sarà ancora più rovinosa e colpirà ancora di più l’economia reale, soprattutto i lavoratori e le piccole imprese.  Come chiedono i BRICS dobbiamo uscire dal signoraggio del dollaro sostituendolo con una media ponderata delle monete forti che serva da unità di conto per gli scambi internazionali.  Allo stesso tempo, per recuperare una parte di sovranità monetaria, a livello locale dovrebbero nascere  altre numerose monete locali complementari che ridiano una autonomia agli enti locali per soddisfare i bisogni più urgenti dei cittadini.
* L’affermazione della sovranità energetica ed alimentare
Sovranità energetica ed alimentare stanno diventando risorse strategiche per la sopravvivenza di interi popoli e grandi aree del nostro pianeta. La guerra per le risorse scarse (relativamente a questo modello di sviluppo e non in assoluto), si sta giocando sul piano commerciale (acquisizione di terre, miniere, etc.).  Per questo è fondamentale continuare ad impegnarsi per il disarmo ed, allo stesso tempo, superare l’idea che la globalizzazione sia un dato irreversibile della storia.  Molti segnali ci dicono il contrario. Dall’Argentina al Pakistan, dall’India alla Russia, molti paesi di fronte all’impennata dei prezzi sui beni alimentari o energetici ha bloccato le esportazioni per garantirsi il fabbisogno domestico.  E’ successo con la soia, il riso, il grano, il metano, ecc.   Questi sono i segni del futuro che avanza e che ci dice che la sovranità alimentare ed energetica diventerà una questione di vita o di morte. Da qui la necessità di costruire mesoregioni che abbiano basi sufficienti per l’autonomia e la sovranità in questi due settori strategici. Indichiamo nella mesoregione Euromediterranea la nuova dimensione istituzionale adatta a costruire uno spazio di mercato equo e solidale in senso letterale, di libera circolazione delle persone, di sovranità alimentare ed energetica da proteggere con adeguate misure. In tal modo stanno procedendo i popoli latino americani verso la realizzazione di un Mercato Comune dell’America Latina, così i popoli dell’Africa sub Sahariana, etc.   In tal senso il nostro futuro è la de-globalizzazione, nel senso di autonomia dei popoli per i beni vitali di cui l’umanità avrà sempre più bisogno.


GIUSTIZIA AMBIENTALE, GIUSTA SOSTENIBILITA’ E DEMOCRATIZZAZIONE DELLO SVILUPPO

La giustizia ambientale si basa sul principio che tutte le persone hanno diritto di essere protette dall’inquinamento ambientale e di vivere in un ambiente salubre, oltre che di godere della redistribuzione della ricchezza prodotta dalle risorse naturali. Per questo oggi è urgente declinare e spiegare cosa intendiamo per sostenibilità.  Dopo venti anni in cui quasi tutti, dalle corporation agli organismi multilaterali, hanno parlato di sviluppo sostenibile i dati della crisi ambientale, ecologica, sociale, economica e finanziaria dimostrano l’inadeguatezza di questa proposta. Appare evidente come il concetto sia stato utilizzato soltanto in chiave strumentale per rassicurare l’opinione pubblica mondiale che qualcosa si stava facendo per far fronte alla più grave minaccia per l’umanità.. Il disastro ecologico, gli sconvolgimenti climatici, le migrazioni ambientali, l’impoverimento dell’umanità, la crisi alimentare, la recessione economica, la perdita di molti diritti, sono i risultati prodotti da chi detiene la governance e sono il prodotto di chi continua a sostenere in maniera esclusivamente dogmatica la crescita economica infinita.  L’esigenza è invece oggi quella di dirigerci verso un modello basato sulla giustizia ambientale e sociale, che ci permetta di reintrodurre principi come equità, giustizia ed etica nel concetto di sostenibilità, e di riportare l'attenzione dei cittadini, distratta da falsità e mistificazioni, verso l'idea di “giusta sostenibilità” e di “democratizzazione dello sviluppo”. Un concetto di che non includa tali questioni appare privo di prospettiva perché non mette in discussione il sistema ed il modello che determinano la crisi ecologica.  Parlare di sviluppo senza indicare i fini, i limiti e le modalità con cui raggiungerlo è servito solo a continuare a produrre vecchie e nuove ingiustizie ed esclusioni. Lo sviluppo deve essere garantito a tutti, le procedure devono basarsi sulla democrazia e deve essere assicurato anche a quelli che verranno. Parliamo di un’idea di sviluppo e di giustizia intra ed inter-generazionale. Se questa fosse la stella polare investiremmo in settori ad alta intensità di lavoro e di tecnologie e prodotti ecocompatibili. Immaginerebbe una nuova epoca di consumi condivisi. Invece le scelte di politiche economiche, agricole, energetiche ed industriali sono ancora fondate su un uso stupido ed inefficiente delle risorse

CONVERSIONE ECOLOGICA (energetica, industriale, produttiva e dei consumi): il terreno su cui possono confluire le lotte dei lavoratori e dei movimenti per la giustizia ambientale
Sino a quando non saremo capaci di dare impulso ad una riconversione del tessuto produttivo e del modello energetico fondati sull’energia diffusa e non accumulata come quella attuale e su una società tendente ad un basso consumo energetico con un alto grado di resilienza e capacità di risposta ai mutamenti, saremo esposti a giganteschi rischi, come dimostrano gli eventi estremi causati dagli sconvolgimenti climatici. Occorre non solo promuovere tecnologie alternative, ma soprattutto inserire queste in una scala etico-valoriale che solleciti un cambiamento volontaristico capace di innescare  processi eminentemente sociali. L’intera comunità deve auto-investirsi di meccanismi di autoregolazione e allo stesso tempo di compiti ambiziosi risolvibili solo sul piano collettivo, come  predisporre le infrastrutture energetiche interdipendenti sul territorio e ripensare l’abitare, le relazioni, la riappropriazione del tempo, il lavoro, l'impresa e la formazione in funzione di un nuovo scenario di rete. Per di più creando maggiore ricchezza distribuita e maggiore sostenibilità ambientale e dando nuovo protagonismo alla partecipazione diretta dei cittadini.
Riconversione significa riportare il sistema produttivo, dall’ambito locale a quello internazionale, entro i parametri di sostenibilità  stabiliti dai limiti fisici e biologici della Terra, ricostituendo il capitale naturale eroso, salvaguardando, potenziando e qualificando l’occupazione e valorizzando la dotazione di tecnologia, di impianti e di conoscenze dell’apparato industriale e produttivo esistente. Per dare impulso alla riconversione allo stesso tempo dobbiamo passare ad un modello di consumo “condiviso”, senza eliminarne il carattere individuale. La promozione di una gestione condivisa dei consumi significa controllo e/o condizionamento sulle condizioni in cui il servizio o il bene vengono prodotti, distribuiti e/o erogati. Coinvolgere in tal senso la cittadinanza significa allo stesso tempo rafforzare la pratica della democrazia partecipata. I protagonisti sarebbero i lavoratori, le associazioni, le amministrazioni locali, le imprese sociali e private, i movimenti. Gli assi su cui lavorare per dar vita ad una riconversione delle forze produttive sono: fonti rinnovabili ed efficienza energetica; agricoltura e sovranità alimentare, tutela del territorio e ricostituzione del capitale naturale, industria agroalimentare e sistema distributivo; infrastrutture e loro gestione e governo; mobilità e riqualificazione dell’assetto e dei servizi urbani.  I costi di questa riconversione vanno calcolati con l'inclusione dei cosiddetti costi esternalizzati, quelli relativi al risanamento del territorio dovuto all'inquinamento e all'impatto delle grandi centrali e dei grandi impianti di trasmissione e trasporto dell'energia, di produzione industriale, della logistica, dei trasporti, dei rifiuti, ecc.

In particolare:

ENERGIA

L’espansione del modello attuale è basato sulla presunzione della durata infinita delle fonti fossili e della insostituibilità del modello “combustibile” (= basato sulla combustione delle fonti concentrate, carbone, petrolio, gas, uranio) dissipativo ed entropico. Oggi abbiamo la necessità di ritornare ad un modello energetico “democratico” basato su processi elettrochimici e biomimetici sviluppati secondo un modello di rete in comunità locali interconnesse che escludano la combustione ma ritornino allo sfruttamento della termodinamica solare in tutte le sue forme. Gli interventi di efficienza energetica sono la soluzione più semplice e più economica per abbattere le emissioni di CO2, soprattutto se caratterizzati da un elevato grado di innovazione: in questo senso i programmi delle Città intelligenti (Smart Cities) devono innanzitutto creare le condizioni per l'adozione di tecnologie che intendono trasformare i propri edifici, le reti energetiche e i sistemi di trasporto, dimostrando una concreta volontà di una transizione verso un'economia  zero emission.

Nelle città  si gioca la partita energetico-ambientale del nostro futuro perché le città sono caratterizzate dalla più alte concentrazioni di abitanti e di inquinamento e perché offrono ambienti ideali in termini di scala per l’implementazione di tecnologie verdi (veicoli elettrici o ibridi, generazione distribuita dell’energia, riqualificazione urbana, efficienza energetica degli edifici, produzione alimentare diffusa nel verde cittadino). Nelle città può più facilmente prevedersi il coinvolgimento di stakeholders, parti sociali, associazioni e su progetti complessi vi è l’opportunità di attivare nuovi canali finanziari, incluso il partenariato pubblico-privato. Da questo punto di vista, occorre caratterizzare, armonizzandoli nelle diverse realtà locali,  tutti gli interventi nel quadro di nuova concezione, quella delle Smart Grids in termini di infrastruttura, che rappresentano la metafora operativa del cambiamento del modello sociale di cui abbiamo bisogno. La Smart Grid consente di realizzare il passaggio dal modello gerarchico di distribuzione e gestione dell’energia ad un sistema a rete «intelligente», indirizzato all’indipendenza energetica e alla lotta al riscaldamento globale. La rete è un sistema di nodi e maglie che mette in contatto diverse strutture di produttori/consumatori di energia su vari livelli e con un coordinamento automatico, ottimizzando la produzione e la distribuzione prodotta dalle diverse fonti (soprattutto rinnovabili) con i consumi, riducendo gli sprechi e aumentando l’efficienza generale del sistema. La rete prevede un impegno individuale (ogni cittadino diventa produttore di energia, oltre che consumatore) in una visione sociale (la nascita di comunità dell’energia con obiettivi condivisi), permettendo in pratica una concreta visione di energia come bene comune. Si propone, seguendo la linea indicata nell’esempio di pianificazione energetica di Roma (come di altre esperienze analoghe)  che per ogni ente locale venga pianificata una road-map per l’applicazione concreta della generazione distribuita dell’energia: (1) individuazione di distretti strutturali in rete, (2) interconnessione intelligente e bidirezionale tra i nodi di una rete, (3) produzione di energia ad elevata efficienza, (4) gestione e management con le tecnologie connesse alla ICT. La pianificazione energetica di un territorio deve dare risposta ad una serie di emergenze introdotte dal modello esistente: la sicurezza delle forniture energetiche; la penetrazione coerente delle rinnovabili; l’innovazione e lo sviluppo tecnologico delle comunità in relazione con l’agricoltura e i beni culturali.


RICONVERSIONE DEL TESSUTO PRODUTTIVO

Gran parte dei prodotti e delle merci possono essere riprogettati nel loro intero ciclo di vita, recuperando efficienza nell’uso delle risorse e dell’energia necessarie e progettando un loro riciclo – riuso a fine vita. Per molti di questi prodotti può essere progettato un accorciamento della filiera produttiva, dalle materie prime, alla trasformazione, alla produzione e al loro uso finale, razionalizzando i consumi energetici e gli impatti ambientali. A questo fine, anche per contenere le delocalizzazioni produttive tipiche della globalizzazione che mettono in concorrenza i lavoratori dei diversi paesi, è possibile utilizzare strumenti impositivi che, al pari della nostra richiesta di tassazione sulle transazioni finanziarie, colpisca la esagerata mobilità dei semilavorati e delle merci, gli impatti ambientali e le emissioni aggiuntive di co2.
La riduzione,  riqualificazione e rilocalizzazione dei prodotti e delle merci circolanti e l’allungamento della loro vita richiedono uno sforzo per spostare lavoro da un settore all’altro e per arrivare infine alla riduzione degli orari. Per intervenire su tutto questo, anche con tecnologie e processi appropriati e meno impattanti, è necessario rilanciare il ruolo propositivo e di controllo dei lavoratori e delle Rappresentanze Sindacali sui processi di riconversione industriale. “Come, cosa e per chi produrre” deve essere un obiettivo strategico dell’elaborazione sindacale nei luoghi di lavoro declinando difesa dei diritti e dei livelli di occupazione nel campo aperto della compatibilità ecologica e del minimo impatto ambientale. Sviluppare conoscenza, democrazia, informazione capillare e responsabile è il sentiero stretto, ma obbligato se vogliamo coniugare benessere e nuovi modelli di sviluppo ecosostenibili.

* Industria militare:

La guerra – sempre avallata da pretesti – è la più antisociale e antiecologica delle attività umane. La débacle del fu movimento pacifista che salvo sparuti gruppi non si oppone più alle guerre occidentali e italiane è il contraltare della negligenza che da decenni impedisce una vera lotta per la riconversione dell’industria bellica. All’interno del dibattito sulla riconversione del tessuto produttivo, la non partecipazione dell’Italia ad avventure militari aprirebbe la porta a processi di conversione dell’industria bellica, rendendo possibile lo storno delle spese per gli armamenti verso investimenti sociali ed ecologici.


TRASPORTI

La frenetica circolazione di merci e persone a tutti i livelli (locale, nazionale, internazionale) non può continuare. In particolare il settore automobilistico, dell’autotrasporto merci e dell’aviazione (che è pesantissima per il clima e rispetto alla quale c’è un’enorme indulgenza da parte di tutti) devono essere di gran lunga ridimensionati il che richiede una azione su vari livelli: a) il ripensamento delle infrastrutture, b) la rilocalizzazione dei sistemi di produzione e consumo, c) lo spostamento verso mezzi di trasporto meno impattanti, d) la assunzione di responsabilità da parte della popolazione stessa, e) la comprensione che la mobilità è un privilegio di cui godere per motivi e scopi funzionali e attinenti alla crescita dell’individuo in una società responsabile. 


MODELLO ALIMENTARE
Occorre ripensare il modello di produzione alimentare nell’ottica di restituire ad ogni territorio e bioregione la propria sovranità alimentare con lo sviluppo di una agricoltura meno dipendente dal petrolio e dalla chimica, verso una alimentazione meno dipendente da derrate importate e in armonia con le produzioni stagionali locali. Occorre una profonda revisione dei modelli alimentari, per favorire con disincentivi l’abbandono del modello industriale intensivo (zootecnico e ittico) rendendo tali attività ecologicamente, socialmente e eticamente sostenibili. E’ necessaria la creazione di più forti legami fra i diversi Distretti di Economia Solidale e fra le realtà contadine e rurali. Allo stesso tempo occorre promuovere la diffusione e il rafforzamento di varietà locali rustiche non geneticamente modificate contro il modello agro-industriale e operare in senso contrario alla tendenza di mercificazione delle sementi e del cibo, verso una cultura nuova in cui le risorse ambientali e alimentari divengano fruibili e accessibili come diritto universale.

* Terra:
E’ prioritario contrastare il fenomeno di speculazione della Terra e l’accaparramento di questa da parte delle multinazionali (Land Grabbing) e di soggetti speculatori e criminali. La terra, come l’acqua, deve essere custodita come bene comune per le future generazioni al riparo dal tentativo di essere privatizzata, in particolare, in Italia come in tutto il pianeta dove presenti, devono essere salvaguardati i diritti all’uso civico del territorio (common) da parte delle comunità locali, in quanto alla proprietà collettiva è riconosciuta la capacità di fare propri gli stimoli provenienti dall’esterno in favore della comunità stessa, di trattenere in loco gli effetti moltiplicativi, di far nascere indotti della manifattura familiare, artigianale, nella filiera dell’energia delle risorse rinnovabili e nel settore dei servizi. L’esperienza e le ricerche dimostrano che dove la proprietà collettiva è presente ed opera si riscontra più che altrove il mantenimento delle popolazioni a presidio del territorio (pubblico, collettivo, privato), l’integrazione fra patrimonio civico e famiglie residenti, l’integrazione con le imprese locali e soprattutto la manutenzione del territorio e la conservazione attiva dell’ambiente, la coesione della popolazione e la creazione di comportamenti cooperativi in campo economico, sociale e ambientale.

USO DEL TERRITORIO
Un tema centrale nella gestione delle risorse e nell’impostazione di un nuovo modello economico riguarda l’utilizzo del territorio. Sosteniamo la campagna Stop al consumo di territorio, che promuove una gestione sostenibile dei territori contro l’attitudine al consumo che nell’ultimo decennio ha assunto proporzioni preoccupanti e una estensione devastante:  le aree destinate a edilizia privata, le zone artigianali, commerciali e industriali con relativi svincoli e rotonde si sono moltiplicate ed hanno fatto da traino a nuove grandi opere infrastrutturali (autostrade, tangenziali, alta velocità, ecc.). In particolare, tra le tante opportunità mancate del nostro Paese quella per noi più emblematica è quella de L’Aquila e di tutto il cratere colpito dal sisma del 2009. Un territorio che rappresenta oggi l’epicentro della crisi, stretto tra speculazione, mancanza di prospettive e spopolamento, ma che per noi può e deve diventare un laboratorio di pratiche e percorsi di sostenibilità a 360°: ambientale, energetica, economica, sociale e di democrazia; immaginiamo una ricostruzione che viva di progettazione partecipata e riconversione energetica ed economica, su cui puntare come modello di eccellenza a livello nazionale ed europeo. Questa, insieme alla messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale, è l’unica grande opera di cui il Paese ha bisogno, e può cominciare oggi, tagliando la TAV e le spese militari.

RIFIUTI
Sosteniamo la strategia conosciuta come “Rifiuti zero”, insistendo contemporaneamente su progetti e pratiche che a tutti i livelli promuovano la prevenzione (non fare rifiuti) prima ancora di sistemi di raccolta efficienti. La raccolta efficiente e  i successivi processi sono solo una parte del problema; la prevenzione porta con sé la vera riduzione delle produzione e dei consumi inutili. Sul tema “Rifiuti Zero” movimenti, comitati, associazioni ed enti locali di molti paesi stanno lavorando da anni con eccellenti risultati: ad oggi sono 72 le amministrazioni locali coinvolte, con il risultato di aver spinto molto in avanti l'agenda della sostenibilità su 4 macrosettori: aumento delle raccolte differenziate oltre gli obiettivi di legge (65% entro fine 2012) e in sintonia con le prime 2 priorità sancite dall'UE con la direttiva rifiuti (prevenzione e riciclo); importanza del lavoro sulla riduzione dei rifiuti; minor impatto ambientale eliminando dallo smaltimento grandi quantità di rifiuti tornati ad essere materia riutilizzabile e riutilizzata nelle diverse filiere produttive; chiusura degli impianti di smaltimento attraverso la costruzione di percorsi politici e amministrativi che siano antitetici alla logica dei grandi impianti riportando l'attenzione sia alla preziosità della materia che all'importanza del lavoro (decine di nuove assunzioni fatte nelle filiere della raccolta e del riciclo dei materiali).


ACQUA

E’ necessario che l'acqua divenga effettivamente un bene comune, diritto umano, la cui proprietà e la cui gestione devono essere pubblici, mantenuti sotto la responsabilità degli Stati come del resto già deliberato dall'ONU con il riconoscimento del diritto all’acqua (risoluzione 64/292 e successiva  risoluzione del Consiglio su Diritti umani). In tal senso occorre che sia l'ONU a gestire i protocolli internazionali per la realizzazione di tale diritto, ponendo fine a forme privatistiche di governance come quelle che si determinano con il World Water Forum. Occorre che gli Stati ratifichino al più presto un protocollo mondiale per l’applicazione del diritto all'acqua e una politica attiva di difesa della risorsa dai cambiamenti climatici.  In tal senso le politiche per il clima devono prevedere una parte riferita all'acqua che contrasti gli approcci  finalizzati alla finanziarizzazione della risorsa attraverso le concessioni che utilizzano risorse pubbliche per finanziare le imprese private nel settore idrico, i processi   di privatizzazione della  gestione e le proposte di sfruttamento l’acqua come una risorsa per soluzioni ai cambiamenti.  Chiediamo quindi nuovi modelli di governance che si basano sulla tutela dell'acqua come bene comune e dei sistemi di salvaguardia della risorsa e di risarcimento per ripristinare l'integrità delle acque e degli ecosistemi, che sono state distrutte da decenni di abusi per assicurare la giustizia economica e ambientale per tutti.

* * *

Per operare i cambiamenti sin qui descritti occorre in definitiva recuperare una relazione di armonia con la natura attraverso l’estensione del concetto di “bene comune” all’energia e alle altre risorse naturali indispensabili alla vita, tradizionalmente configurate e relegate nel perimetro del mercato. Le ragioni profonde di un processo di autentiche “rivoluzione e rinascimento culturale” stanno nella convinzione che una risposta immediata e realistica alla crisi, il futuro dell’uomo e la vivibilità dei nostri territori sono radicati nello sviluppo di un'economia policentrica e integrata, fondata per gran parte sulla gestione illuminata dei patrimoni naturali, sull’organizzazione solidale delle relazioni e sulla cooperazione dei saperi. Un raccordo tra i temi qui considerati e le elaborazioni riguardanti cibo, suolo e acqua in quanto beni comuni convergenti, accrescerà la comprensione della fase nuova che si sta aprendo per uno sviluppo sostenibile.

In questa direzione, Rigas intende promuovere e valorizzare progetti e progetti concreti, che siano in grado di far vivere esperienze di sostenibilità ambientale e sociale, dal basso, partendo dai bisogni reali delle persone.  Si tratta di costruire con tutti i soggetti interessati, lavoratori, cittadini, comitati, ecc. percorsi di articolazione che possano raggiungere precisi risultati di riconversione, magari anche parziali o settoriali, ma che possano prefigurare un altro modo di usare le risorse, di produrre, di consumare, di vivere. Riteniamo sia questo il migliore contributo per costruire una strategia compiuta di conversione ecologica e di giustizia sociale da contrapporre alle politiche liberiste oggi prevalenti, da portare anche al confronto nel summit dei popoli a Rio+20.



Lavoro, difesa dell’ambiente e dei beni comuni, riconversione energetica, partecipazione democratica, giustizia ambientale e democratizzazione dello sviluppo sono le parole chiave e le proposte concrete che movimenti, associazioni, sindacati, comitati, organi di informazione e società civile fanno all’opinione pubblica per uscire dalla crisi senza austerità e sacrifici ma con un progetto ed un’idea di società e di sviluppo che migliori le condizioni della stragrande maggioranza degli italiani e delle italiane.

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