Diario di bordo L'Aquila 2009


Domenica 6 Settembre 2009. Si parte per questa nuova esperienza…
In cuor mio pressavano 1000 interrogativi… su come sarebbe stato, su cosa avrei visto, la gente che avrei conosciuto. E la mia anima si era già fatta un’idea, come il comportamento umano sempre si impone.
     Il primo giorno quasi una conoscenza da lontano di queste terre così pacifiche e al tempo stesso con un grido troppo forte nella pancia. La  mia prima impressione. La ragazza che ci ha accolto parlava a bassa voce quasi a dire: “Shhh… non disturbate…!” e dentro me l’interrogativo più grande era se fossi stato in grado di dare ciò di cui serviva… come faccio sempre ho chiuso gli occhi ed ho osservato che le circostanze per cui io mi son trovato qui erano impregnate di troppe coincidenze, e allora vuol dire che Qualcun altro mi ha voluto quassù.
     Abbiamo animato subito la prima messa insieme alla diocesi che ci ha preceduti, quella di Otranto, e poi i primi saluti dopo la prima fugace conoscenza di belle persone che gratuitamente ci hanno preceduto, ma la vita va così, d’altronde il cuore dell' uomo è così grande perché deve riuscire a contenere i volti di tutti coloro che segnano la nostra strada, e così è stato anche in questo caso.
La prima ad entrare a far parte della nostra storia Aquilana è stata Anna, rimasta sola perché fuori dalla gita da San Pio che sentiamo anche noi così “nostro”… ho respirato subito aria di fratellanza, ho assaporato subito il mio essere me stesso, cosa che spesso dimentico di fare perché la vita corre troppo veloce e troppe volte non riesco a starle dietro…
Dopo il primo servizio abbiam pranzato in un agriturismo qui vicino e nel pomeriggio ci siam un po’ organizzati il lavoro da fare.
Siamo entrati a pieno ritmo in questa oasi che stranamente mi fa sorridere nonostante tutto…la gente mi sembra strana, saranno i secondi, i minuti, le ore, i giorni… i mesi passati in queste tende di colore grigio che hanno fatto modellare un bel po’ il loro modo di sorridere… ma non mi sono scoraggiato…né io né i miei amici di viaggio, don Andrea, Giovanni, don Nazareno, Gina e Nanda… sempre a denti stretti verso il sole noi.
“Ho perso la casa, il lavoro, tutto…” mi ha detto un tizio con uno strano sorriso un giorno, e dentro me iniziava a crollare qualche parete come una buona scossa.
“Questi sono spesso aggressivi perché hanno perso la dignità..,” mi spiegava un capo scout… e la terra dentro me ha tremato ancora…
I bambini che sono stati sempre con noi sti giorni sono la parte bella della speranza, con i loro sorrisi, i loro scherzi, le loro lettere… mi hanno ricordato che il terremoto è finito, ora inizia la ricostruzione.
Ogni volto uno sguardo, ogni sguardo un nome, ogni nome un tassello inserito, incastrato in questo sisma.
     Le nostre giornate pienissime dal primo mattino erano intrise di servizio a mensa, di tempo con i bambini, di ascolto, di disponibilità… questo abbiamo fatto…
Nel nostro piccolo sento che come gruppo abbiamo dato quello che potevamo, con il cuore, e ne sono fiero. Dal servizio alla serata pugliese! alle schitarrate con gli amici della protezione civile, dai bambini ai giri negli altri paesini, dall’animazione al sacrificio fisico.
La nostra famiglia è cresciuta perché siam partiti in 5 ma abbiam continuato in molti di più.
Tanta gente ha colorato le pareti del nostro cuore: Padre Juan, Don Antonio, Simona, Fabio, Valeria, Valentina T., Chiara, Padre Ever, Anna… e chipiùnehapiùnemetta!
    Una squadra dove il protagonista è diventato lo schema di attacco, in una partita dove gli sfidanti sono i poveri. Chi ha perso tutto o quasi. La situazione in cui ti senti di capire perlomeno gli atteggiamenti di tutti, anche i meno ortodossi. Una situazione in cui tutti hanno ragione, perfino lo Stato. Cinque mesi in tenda non sono pochi, unica doccia a duecento metri tra breccia e bagni chimici da attraversare, convivenza sotto lo stesso “tetto” con altre famiglie, freddo secco di montagna, sonori concerti notturni di animali (soprattutto quando l’assestamento della terra scuote ancora)… noi ci abbiam trascorso una settimana e so che basta a capire i disagi… i tanti disagi che un giovane, un anziano, un adulto, un bambino, un neonato può provare.
Si può essere poveri ma con una dignità. Questo sta cercando di riprendersi sta gente.
Mi sembrava che il terremoto fosse finito con queste minitendopoli che mi circondano! mi ero sbagliato… e non ero l’unico.
Venerdì 11 Settembre 2009 un amico della squadra mobile della polizia di Stato ci ha scortati nella zona rossa.
Il terremoto non è nelle tendopoli, il terremoto è stato, è, sarà per sempre nelle viscere di quelle strade che emanano un silenzio assordante.

Unico inquinante rumore quello dei cantieri aperti. Ovunque.
L’Aquila, zona rossa… così rossa che il mio sangue mi sembra un’imitazione pagata a buon prezzo. Così rossa che l’azzurro del cielo non riuscirebbe a creare nessun effetto, neppure col calore del sole di questi monti perché lì c’è solo tanta, troppa tristezza, troppo dolore, troppa ingiustizia, troppo bisogno di rialzarsi dopo che il terreno muovendosi ha sepolto una storia.
La casa dello studente riportava ancora i poster di qualche studente innamorato della musica.. i libri che avrebbero permesso una vita dignitosa, una professione, una famiglia. Per chi è andato via resteranno solo bei sogni su qualche parete ancora crepata osservata da pupazzi fermi, immobili su letti ormai in bilico.
     Una coscienza sepolta dalla mano della natura, ma non senza lo sporco contributo dell’uomo accecato da un lurido business sulle costruzioni, sui materiali usati, sulla forza impiegata… ormai trasformatosi in un numero: 309… e nel dramma la fortuna dell’orario.
Se non fosse accaduto di notte, i 309 morti ne sarebbero stati infinitamente di più, ma questo lo capisci solo quando vedi uno scenario che Bagdad ti sembra a 2 chilometri…
Qualcuno mi ha chiesto: “Tu che credi… dov’era Dio…? Io non lo so. Io non so rispondere… ma per me Dio è morto lassotto con loro…”
Gli orologi bloccati sulle 3:32 hanno segnato la fine di tanti sentieri magari così debitamente composti nel cuore e nella mente di chi ha impiegato una vita a realizzare qualcosa, come la sig.ra Maria, che in tenda ad un paese qua vicino ci ha offerto così dignitosamente un nocino da lei fatto che nonostante l’orario non ho potuto rifiutare (erano circa le dieci). Tre letti matrimoniali in 10 metri quadrati, ma una pulizia, un rispetto, una memoria che resta incisa molto più di un pilastro piegato.
Domani andremo via, e la nostra vita credo si sia riempita parecchio per continuare a ricordarmi che la vita va avanti, deve andare avanti, nonostante tutto.
La mia speranza è che questa terra rifiorisca grazie agli uomini che continueranno a donare queste povere mani per risollevare pietra su pietra le rovine della devastazione. Con la fede in Cristo, unico motore di salvezza ieri, oggi, sempre.
    
Ma questo è essere fratelli. Ed io voglio esserlo. Voglio continuare ad esserlo.
Spero che il freddo di queste notti si trasformi presto in calore, in sogni, in case. Spero che questo azzurro cielo splenderà di un colore più vero. Che questa città divenuta un cantiere ritorni a farsi fotografare per la sua reale bellezza. Che le stupende stelle di sti posti segnino veramente una nuova serenità per tutti.

Questi i miei fugaci pensieri buttati su un foglio come rabbia dopo un colpo inaspettato.
Tra un po’ si va ad animare delle cresime da Padre Juan, sono felice.

Domenica 13/09/2009. Ieri sera dopo l’animazione stupenda a Gignano siamo stati ad un ristorantino niente male qui vicino… ottima cena e compagnia! Ci hanno accompagnati anche dei ragazzi V.I.P.!Associazione che VIVE IN POSITIVO, e lì è nato un bel confronto! Poi di corsa a casa, in tenda, perché bisognava preparare parte della roba per la partenza. 00:30 già al campo.
La nostra esperienza è giunta al capolinea, rientro più vero, più cosciente di un qualcosa che punge forte dentro.
Dopo l’accoglienza al nuovo gruppo di Taranto abbiamo animato la messa, pranzato e salutato gli amici della protezione civile e gli altri volontari che sono rimasti lassù. Gli abbracci con il sapore di un GRAZIE, DI UN ARRIVEDERCI, e non di un Addio… perché ogni volta che vorremo li troveremo lì, in quella parte sensibile del nostro io.
Solo 350 km per ritornare alle mie mura per sette giorni sostituite da una tenda, un unico grande abbraccio per ciò che ho vissuto.
Prima di andar via ho detto ad un volontario della protezione civile: “Anche se ti ho visto solo per un giorno (apparteneva al nuovo gruppo), voglio dirti grazie, perché accogli la gente prima col sorriso e poi con il suono delle corde vocali, con la parola”.
Di questo ha bisogno sta gente, di questo hanno bisogno tutti, di questo ho bisogno io.

Dalla continua ricerca di una gioia che è lì, rubo la frase incisa sopra una chiesa della zona rossa: “L’Aquila, ritornerai a volare ancora più in alto…”

13/09/2009  L’Aquila.

Antonio F: Parisi


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