Articolo "Oltre la Porta" - Fende Na Yerika: Apricena-Benin, il ponte continua





Dicembre Duemiladodici – Quindici Gennaio Duemilatredici, non sono numeri, né date e neanche un insieme di giorni. Sto parlando di una singola esperienza che conta ogni respiro. Il viaggio verso il Benin comincia soprattutto con tanta voglia di esserci.   Tonino, Ennio, Michele, Martino, Antonio, Quirino, nomi comuni che si sono mischiati tra i sorrisi e la polvere Africana, nella semplicità della gente di laggiù. 

L’aeroporto di Cotonou ricorda subito ai propri ospiti che si è appena giunti nel continente nero e lancia diapositive di uomini e donne pronti a strapparsi velocemente di dosso i pesanti maglioni costretti dal freddo del Nord! Tra il caldo dei motori Air France e il sole che secondo me la notte si sposta dal cielo ad un leggero strato sotterraneo che lancia continuamente fiamme, l’Africa ci da il benvenuti! Pochi minuti per capire che la storia è diversa, quasi lo stesso tempo per impiegare a comprendere che la capitale commerciale conviene sia soltanto una notte di passaggio… Il secondo viaggio nel viaggio porta dodici ore sulle gomme di mezzi da telequiz e scenari e scenografie da filmare sull’unica strada cinese che collega trasversalmente la nazione… I primi giorni sembra tutto così assurdo, strano, bello, brutto, inconcepibile, da amare, da condividere, da rispettare, da aiutare... che qualcuno ti deve spesso ricordare che hai la bocca aperta dallo stupore. 



La seconda Africa ad accoglierci si chiama Cotiakou, il villaggio della missione capitanata da don Angelo e don Leonardo.  Il tempo vissuto ha rispecchiato in pienezza i ritmi subsahariali! A scandire le giornate solo la luce del giorno e le ombre dell’imbrunire. In Africa il tempo si vive, in occidente, invece, si conta.
Gli altri hanno apportato energia in tutti i sensi! In pochi giorni sono riusciti a recuperare tutto il materiale necessario a supportare i cablaggi e gli scavi oltre a montare qualche chilowattora di pannelli fotovoltaici per le strutture della missione, impegno della mia Comunità Parrocchiale, frutto delle iniziative annuali del “ponte Apricena-Benin”. Tra la disponibilità dei ragazzi e la frenesia occidentale di voler finire in fretta, l’opera è andata a buon fine e mi sono quasi commosso quando i “don” residenti hanno esultato come bambini quando hanno saputo che potevano accendere la luce nella missione nelle strutture parrocchiali, usare la pompa del pozzo,  istallare il frigorifero elettrico, o vedere la televisione qualche ora in più al giorno!  Terra delle piccole cose, terra dell’eterno grazie. Io ho dato un piccolo apporto operaio e mi sono dedicato più a condividere lezioni di chitarra con alcuni ragazzi… Suonare in Africa assume un altro sapore. Ogni accordo, ogni battuta assume un significato... è una sorta di domanda e risposta che danno le mani... anche le mie canzoni sono piaciute sebbene in una lingua diversa dalla loro. La musica non ha confini nè bisogno di traduttori...  Il resto del tempo si chiama incontro, saluti, catechesi, lettura, spesa, silenzio, tempo per te… mentre il calendario, tra giri vari, ci ha ricordato presto che il tempo era scaduto e quei numeri sul biglietto di ritorno erano già stampati.

Non riesco a trovare tante parole per raccontare tutto, mi capita raramente, ho solo un doppio grazie da dispensare e qualche immagine tatuata nella mente: “L’Africa è uno spazio immenso per se stessi, dove camminare assume distanza che va al di là dei centimetri che separano la vista dal cuore. L’Africa è vivere con poco. Una vita semplice lontana dai “disturbi occidentali”, dagli stress della città, dalle paure del fine mese. In Africa il fine mese comincia con ogni alba. L’Africa è la madre che si accontenta dell’essenziale, la salute e un pasto al giorno se le va bene.
L’Africa è il sapere delle piccole cose, il ringraziamento delle donne, le danze di gioia per l’ospite. L’Africa è il sorriso dei bambini che mi fanno pensare, gli sguardi che ti scrutano e gli occhi grandi come poster a dire: “ci siamo anche noi…”
Africa è la mano stretta alla mano dell’amico, il posto di chi ha deciso di donarsi, il saluto della gente, lo scambio singolo di battute che va oltre il “ciao a tutti!”.
L’Africa è il libro di storia su cui dovremmo studiare, calcolatrice su cui fare i conti delle multinazionali, negozio d’abbigliamento avente come modelli i bambini nudi sotto un sole che scalda e che picchia forte.
L’Africa è il diritto negato allo studio, la religione che va oltre il credo, i segni della natura e le credenze popolari. L’Africa è il cambio di “stato” da bambino ad adulto, il luogo in cui non si chiede “che ore sono?!” o “quanti anni hai!”…  L’Africa è l’incantesimo spezzato con un capretto in sacrificio, emozionarsi per una caramella, la gioia di vedersi ritratti in una foto.
L’Africa è l’orchestra degli insetti che non ti fanno dormire, il sole che magicamente cambia colore, i tramonti che ti lasciano senza respiro. L’Africa è la terra della passione. Il continente senza orologio, gli appuntamenti ricordati dalle ombre di un albero o dal suono di una campana. L’Africa è la terra dei pazienti dove la polvere rossa come il sangue macchia vestiti ed anima. L’Africa è il monito per “noi ricchi”, è la voglia che ho di piangere quando io mangio e fuori i bambini giocano nella terra cocente a pancia vuota.
L’Africa è tenere in braccio un bambino che ha “paura” del bianco e che mi tocca la barba. L’Africa è il grido della coscienza quando butto il cibo o quando dico “non mi piace”. E’ l’incontro dei pragmatici di fronte all’inesorabile lento scorrere del tempo, l’ubriacarsi della gente che sfocia nella danza. L’Africa è il giudizio occidentale su una storia che non cambierà perché non la si vuole cambiare. E' il sorriso di chi tira a campare e quello di chi ha inventiva.
L’Africa è il peso sulla schiena delle donne, la culla dondolante dei neonati, l’acqua del pozzo che ristagna, i vestiti senza taglia. L’Africa è Dio pieno di sorrisi e lacero di dolore.
L’Africa sono le mani alzate, i cori dei canti, il suono dei tamburi, l’accoglienza della gente, i giocattoli in disuso,  il riciclo dei motocicli, le scarpe sfondate, le ciabatte infradito, i pozzi essiccati, la cucina povera, le torce, la birra artigianale, il fuoco, la paglia, i mattoni in terra, il sole, la stella del Sud, la pioggia, il vento.
L’Africa sono i calli nelle mani, i cani anoressici, le galline con il “segno di riconoscimento”, la fatica delle donne, le relazioni, le mani tese verso un bianco. L’Africa sono anche agglomerati che vorrebbero essere città ma che contano miseria tra le Hummer e i motorini Sanya. Il pugno in faccia climatico quando scendi in “aeroporto”, i topi, “i bagni pubblici in senso stretto”, la capitale senza “targa”. L'Africa non si può spiegare ma si può "vivere".
Da oggi un pezzo di Africa siamo anche noi… fende na-jerica…grazie per ieri Africa!


 Antonio Francesco Parisi

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