Intervista integrale a YesDayNoDay


Una bella e intensa intervista ad Antonio che ci ha dato una grossa mano a far conoscere il nostro marchio. Da alcune sue risposte, interessanti spunti nella ideazione e realizzazione dei nostri prodotti.

L'intervista è stata realizzata da Ciro Palumbo

Qual’è stato il tuo YESDAY, il tuo punto zero dal quale sei ripartito?
 Credo che la vita sia un “grande cappello di Napoleone”, in cui la nostra esistenza si diverte a fare su e giù per le salite e le discese! Di NODAY ne avrò avuti qualche miliardo! Ma come affermano grandi filosofie di vita il problema non è tanto il problema in sé, bensì la modalità con cui si affronta! I miei punti di ripartenza hanno sempre fatto leva fondamentalmente su tre cose: la fede, gli amici, l’arte. Per essere più precisi intendo arte come scrittura, danza, dipinti e teatro, musica… quindi arte prodotta ed usufruita! E crescendo credo che questi tre elementi siano strettamente interconnessi tra di loro! In più non potrei tralasciare i viaggi, intesi come cammino interiore per scorrere l’anima, ed esteriore per riempire la mente. Il mio punto di ripartenza più importante è stato ribaltare il mio percorso nel momento in cui mi sono accorto che non mi rendeva felice, semplicemente perché non era mio!
Con quale spirito si affronta una ripartenza, un cambio di vita in vista di un sogno?
Fondamentalmente con coraggio misto a quel pizzico di follìa che probabilmente ci distoglie dai potenziali rischi che ogni scelta porta con se e che probabilmente no ci farebbero mai tuffare in mari più grandi, anche se con un blu più vicino alla nostra essenza! Una volta trovati questi due elementi, secondo me, non resta che partire. Credo che per realizzare i propri sogni “bisogna farsi il culo!”, scusate per il francesismo ma penso sia opportuno uscire dalla logica del “regalo”! qui nessuno ti regala niente! Bisogna lavorare sodo per investire tutte le proprie energie alla volta dei propri obiettivi… è stato così quando decisi di partire per studiare spettacolo a Roma, per il teatro, per il romanzo ed il disco autoprodotti, per i concerti, videoclip e quant’altro! È stato così anche quando ho fondato l’associazione (poi divenuta onlus) NO FRONTIERE, che oggi trova sempre più adepti e con cui stiamo lavorando ad un progetto di microcredito in un villaggio Africano! Ma tutto con passione! In tutto questo c’è vita… ripensamenti, pianto, gioia, relazioni, paure… e non ci sarà un vinto o un vincitore! Probabilmente solo un “giudicato!” e quello sarai tu! Le scelte serie attirano giudizi e dita contro ed in questo grande giro non deve esistere astio; solo il sorriso e la serenità delle nostre motivazioni che ci colorano il volto.  Questa magia diventa sprono per stimolare a vivere e non continuare a “sopravvivere”!

Cosa significa per te viaggiare? Incontrare gente...gustare nuovi usi e costumi?
Parlerò di una filosofia di vita e non di semplice turismo! Viaggiare è stabilire di uscire dal guscio! Accorgersi che la realtà non è solo quello che in qualche pezzo di mondo ci è stata donata! È decidere di mettersi in gioco. Ringraziare Dio per la nostra condizione. Confrontarsi con fratelli di altre popolazioni. Ammettere che si può cambiare idea, che si deve crescere, insieme, sempre… che bisogna confrontarsi. È amare, parlare male altre lingue e fare la faccia schifata per una pietanza che non attiene alla nostra cultura! È sentirsi parte di una cartolina che fino a ieri avevi visto solo in qualche negozio. È voler dar senso ad ogni ritorno e gustare l’abbraccio dell’amico o della famiglia. È quella cosa che ti porta via con gioia da storie difficili ma al tempo stesso ti richiama le origini. È mischiarsi nelle tradizioni con la permuta di energie. È concedersi la libertà di essere se stessi… utilizzare il goniometro della vista ad aprire nuovi orizzonti. E potrei continuare per altre tre pagine ma i lettori potrebbero annoiarsi! Quindi in una parola la vita è il vero viaggio e in ogni viaggio c’è vita!

 A quali colori assoceresti i tuoi viaggi?
Verde di speranza, bianco per la pace, azzurro per la dipendenza dal cielo e dal mare, giallo ed arancio per il sole in tutte le sue ore… nero per la stanchezza fisica dei km macinati, grigio per l’adattamento da approntare e gli eventuali inconvenienti da superare! Rosso per la passione che esorta la mia voglia di scrivere musica! Non a caso i miei brani nascono dalla voglia di vita che ci metto nei miei respiri. Più forza ci metto più ho bisogno di una chitarra, carta e una penna. Molte canzoni sono venute fuori da sole! Ho solo imbracciato la chitarra! Come se stessi riproducendo qualcosa di noto! Mi piace osservare e mischiarmi nella mia storia e con rispetto, da lontano, in quella delle persone che incontro, per poi trarne un percorso di crescita personale. Tutto quanto accade intorno a noi, e le notizie di cui veniamo a conoscenza, ha un senso a mio avviso e mi piace ritrarlo con parole e musica perché a quel punto diventano personali. E’ come custodire un qualcosa di prezioso in una cassaforte ed aprirla soltanto quando decido io. Scrivo di quello che mi accade, delle relazioni, di ciò che osservo da vicino e da lontano, dei luoghi che visito, di quello che provo, delle mie gioie e delle mie difficoltà, in sostanza della mia vita.

Puoi raccontarci un viaggio o un’esperienza o una persona che hai incontrato che incarni lo spirito YESDAYNODAY
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Dicembre Duemiladodici – Quindici Gennaio Duemilatredici, non sono numeri, né date e neanche un insieme di giorni. Sto parlando di una singola esperienza che conta ogni respiro. Il viaggio verso il Benin comincia soprattutto con tanta voglia di esserci.   Tonino, Ennio, Michele, Martino, Antonio, Quirino, nomi comuni che si sono mischiati tra i sorrisi e la polvere Africana, nella semplicità della gente di laggiù. 
L’aeroporto di Cotonou ricorda subito ai propri ospiti che si è appena giunti nel continente nero e lancia diapositive di uomini e donne pronti a strapparsi velocemente di dosso i pesanti maglioni costretti dal freddo del Nord! Tra il caldo dei motori Air France e il sole che secondo me la notte si sposta dal cielo ad un leggero strato sotterraneo che lancia continuamente fiamme, l’Africa ci da il benvenuti! Pochi minuti per capire che la storia è diversa, quasi lo stesso tempo per impiegare a comprendere che la capitale commerciale conviene sia soltanto una notte di passaggio… Il secondo viaggio nel viaggio porta dodici ore sulle gomme di mezzi da telequiz e scenari e scenografie da filmare sull’unica strada cinese che collega trasversalmente la nazione… I primi giorni sembra tutto così assurdo, strano, bello, brutto, inconcepibile, da amare, da condividere, da rispettare, da aiutare... che qualcuno ti deve spesso ricordare che hai la bocca aperta dallo stupore. 
La seconda Africa ad accoglierci si chiama Cotiakou, il villaggio della missione capitanata da don Angelo e don Leonardo.  Il tempo vissuto ha rispecchiato in pienezza i ritmi subsahariali! A scandire le giornate solo la luce del giorno e le ombre dell’imbrunire. In Africa il tempo si vive, in occidente, invece, si conta. 
Gli altri hanno apportato energia in tutti i sensi! In pochi giorni sono riusciti a recuperare tutto il materiale necessario a supportare i cablaggi e gli scavi oltre a montare qualche chilowattora di pannelli fotovoltaici per le strutture della missione, impegno della mia Comunità Parrocchiale, frutto delle iniziative annuali del “ponte Apricena-Benin”. Tra la disponibilità dei ragazzi e la frenesia occidentale di voler finire in fretta, l’opera è andata a buon fine e mi sono quasi commosso quando i “don” residenti hanno esultato come bambini quando hanno saputo che potevano accendere la luce nella missione nelle strutture parrocchiali, usare la pompa del pozzo,  istallare il frigorifero elettrico, o vedere la televisione qualche ora in più al giorno!  Terra delle piccole cose, terra dell’eterno grazie. Io ho dato un piccolo apporto operaio e mi sono dedicato più a condividere lezioni di chitarra con alcuni ragazzi… Suonare in Africa assume un altro sapore. Ogni accordo, ogni battuta assume un significato... è una sorta di domanda e risposta che danno le mani... anche le mie canzoni sono piaciute sebbene in una lingua diversa dalla loro. La musica non ha confini nè bisogno di traduttori...  Il resto del tempo si chiama incontro, saluti, catechesi, lettura, spesa, silenzio, tempo per te… mentre il calendario, tra giri vari, ci ha ricordato presto che il tempo era scaduto e quei numeri sul biglietto di ritorno erano già stampati.
Non riesco a trovare tante parole per raccontare tutto, mi capita raramente, ho solo un doppio grazie da dispensare e qualche immagine tatuata nella mente: “L’Africa è uno spazio immenso per se stessi, dove camminare assume distanza che va al di là dei centimetri che separano la vista dal cuore. L’Africa è vivere con poco. Una vita semplice lontana dai “disturbi occidentali”, dagli stress della città, dalle paure del fine mese. In Africa il fine mese comincia con ogni alba. L’Africa è la madre che si accontenta dell’essenziale, la salute e un pasto al giorno se le va bene.
L’Africa è il sapere delle piccole cose, il ringraziamento delle donne, le danze di gioia per l’ospite. L’Africa è il sorriso dei bambini che mi fanno pensare, gli sguardi che ti scrutano e gli occhi grandi come poster a dire: “ci siamo anche noi…”
Africa è la mano stretta alla mano dell’amico, il posto di chi ha deciso di donarsi, il saluto della gente, lo scambio singolo di battute che va oltre il “ciao a tutti!”. 
L’Africa è il libro di storia su cui dovremmo studiare, calcolatrice su cui fare i conti delle multinazionali, negozio d’abbigliamento avente come modelli i bambini nudi sotto un sole che scalda e che picchia forte. 
L’Africa è il diritto negato allo studio, la religione che va oltre il credo, i segni della natura e le credenze popolari. L’Africa è il cambio di “stato” da bambino ad adulto, il luogo in cui non si chiede “che ore sono?!” o “quanti anni hai!”…  L’Africa è l’incantesimo spezzato con un capretto in sacrificio, emozionarsi per una caramella, la gioia di vedersi ritratti in una foto. 
L’Africa è l’orchestra degli insetti che non ti fanno dormire, il sole che magicamente cambia colore, i tramonti che ti lasciano senza respiro. L’Africa è la terra della passione. Il continente senza orologio, gli appuntamenti ricordati dalle ombre di un albero o dal suono di una campana. L’Africa è la terra dei pazienti dove la polvere rossa come il sangue macchia vestiti ed anima. L’Africa è il monito per “noi ricchi”, è la voglia che ho di piangere quando io mangio e fuori i bambini giocano nella terra cocente a pancia vuota.
L’Africa è tenere in braccio un bambino che ha “paura” del bianco e che mi tocca la barba. L’Africa è il grido della coscienza quando butto il cibo o quando dico “non mi piace”. E’ l’incontro dei pragmatici di fronte all’inesorabile lento scorrere del tempo, l’ubriacarsi della gente che sfocia nella danza. L’Africa è il giudizio occidentale su una storia che non cambierà perché non la si vuole cambiare. E' il sorriso di chi tira a campare e quello di chi ha inventiva.
L’Africa è il peso sulla schiena delle donne, la culla dondolante dei neonati, l’acqua del pozzo che ristagna, i vestiti senza taglia. L’Africa è Dio pieno di sorrisi e lacero di dolore. 
L’Africa sono le mani alzate, i cori dei canti, il suono dei tamburi, l’accoglienza della gente, i giocattoli in disuso,  il riciclo dei motocicli, le scarpe sfondate, le ciabatte infradito, i pozzi essiccati, la cucina povera, le torce, la birra artigianale, il fuoco, la paglia, i mattoni in terra, il sole, la stella del Sud, la pioggia, il vento. 
L’Africa sono i calli nelle mani, i cani anoressici, le galline con il “segno di riconoscimento”, la fatica delle donne, le relazioni, le mani tese verso un bianco. L’Africa sono anche agglomerati che vorrebbero essere città ma che contano miseria tra le Hummer e i motorini Sanya. Il pugno in faccia climatico quando scendi in “aeroporto”, i topi, “i bagni pubblici in senso stretto”, la capitale senza “targa”. L'Africa non si può spiegare ma si può "vivere".
Da quel giorno un pezzo di Africa siamo anche noi… fende na-jerica…grazie per ieri Africa!

Cosa pensi degli accessori indossati dalla gente...nella nostra cultura e in quelle diverse che hai incontrato?
Credo sia molto personale la questione! Ad ogni modo noi occidentali sesso utilizziamo monili con provenienza talora anche dubbia o di certa provenienza senza neppure sapere cosa stiamo indossando ma semplicemente per puro piacere estetico! In molte culture invece, soprattutto per i popoli del sud del mondo, probabilmente anche dovuto a motivazioni religiose, molti accessori o modi di vestire hanno un significato ben preciso. 
In un villaggio a sud del Marocco, ad esempio, mentre stavamo andando verso il Sahara, la guida è stata ben attenta a spiegarci che le donne sono sposate, promesse spose o nubili, in base al particolare modo di indossare il copricapo! 
In Benin ho vissuto l’esperienza delle tribù che si tatuano o dipingono o scavano la pelle in un certo modo per un  segno di appartenenza e così via per altre mille storie! 
In ogni caso sostengo che lanciare dei messaggi tramite i propri indumenti, poi confermati dal proprio modo di vivere, sia qualcosa di stupendo! Think positive!

Cosa vuoi dire ai nostri fan di YESDAYNODAY....
Johnny Deep in "La maledizione della prima luna" disse bene: «Il problema non è il problema. Il problema è il tuo atteggiamento rispetto al problema… comprendi?»
Quindi mi piace condividere l’ideologia di vita per cui se si pensa positivo avremo un feedback positivo! Non intendo ridicolizzarsi per non pensare alle difficoltà che tutti viviamo, bensì trovare le energie necessarie per superare l’ostacolo.

E poi se volete seguire il mio percorso artistico potete trovarmi al mio blog:
http://parisivatuttobene.blogspot.it/
oppure su Youtube e Facebook al contatto Antonio Francesco Parisi!

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