L'amore sull'odio- Antonio Francesco Parisi - Estratto del libro su Aushwitz



     




Le continue fermate accrescevano la pressa umana all’interno dei vagoni merce, mentre gli ebrei continuavano a salire nella ferraglia in un gelido inverno.

Si dormiva in spazi estremamente ristretti, i bisogni fisiologici erano obbligati a farli nelle campagne circostanti approfittando delle fermate una o due volte al giorno.

Si mangiava a seconda della bontà dei capi con cibo spesso d’avanzo.

Trattamento da animali.

Quella gente fu privata della libertà e soprattutto della dignità.

     Si può essere prigionieri, ma degni di essere uomini, cancellare la dignità vuol dire distruggere una vita dentro, molto peggio di quella che sarebbe la morte fisica... ma era solo l’inizio di una lunghissima orrenda esperienza che avrebbe segnato per sempre il loro essere.

     Franz stringeva sempre forte la mano di sua moglie Ester e non mancava mai di conforto verso i suoi suoceri, nonostante le condizioni in cui versavano, la speranza che tutto sarebbe stato solo un ricordo era sempre viva in cuor loro.

In realtà tutto sembrò presto vano. Trascorsi oramai venti giorni dall’inizio del viaggio, qualche passeggero scorse in lontananza un’insegna: Auschwitz.
- Forse siamo arrivati! E’ finita... - si sentì qualche voce sussurrare speranzosa…

L'urlo di apparente liberazione trascinò con sé altri mille appartenenti a uomini esterrefatti, ma purtroppo, presto, un altro grido avrebbe caratterizzato le loro esistenze.

     Auschwitz si presentava come una grande officina.

Si notavano grandi camini e un’immensa struttura che subito fece pensare a lavori forzati.

Pian piano il convoglio entrò in quel grande cortile rallentando sempre più fino a sbattere contro un muro di ferro appositamente costruito per fermargli la corsa.

Era il 5 Marzo 1942.
     Appena giunti a destinazione i treni venivano rapidamente scaricati dal loro triste carico umano ed avveniva   la  selezione, tra gli «abili al lavoro» e coloro da inviare “dritti alla morte”.
     L'area veniva circondata da uomini delle SS armati e
da altri internati che provvedevano ad accostare rampe in legno alle porte dei vagoni per semplificare e velocizzare la discesa dei nuovi arrivati. 


     Gli stessi internati - che avevano l'assoluto divieto, pena la morte, di parlare con i nuovi arrivati per evitare il panico negli stessi - provvedevano a scaricare i treni, dei bagagli che successivamente venivano portati presso il settore Kanada di Birkenau dove si effettuava la cernita e l'imballaggio dei beni per il successivo invio in Germania.

Gli uomini venivano separati dalle donne e dai bambini formando due distinte file. A questo punto il personale medico delle SS decideva chi era «abile al lavoro».

Mediamente solo il 25% dei deportati aveva possibilità di sopravvivere.

Il restante 75% (donne, bambini, anziani, madri con figli) era inviato direttamente alle camere a gas dove, in gruppi, i prigionieri venivano uccisi con gas letali (di solito Zyclon B).


     Le percentuali abili/gassati fluttuarono per tutto il corso del conflitto, in base alle esigenze dell'industria bellica tedesca diretta da Albert Speer.

    Vi furono casi di interi treni di deportati inviati direttamente alle camere a gas senza nessuna selezione a causa del sovraffollamento del campo e del preventivato rapido arrivo di nuovi convogli.

La selezione era operata esclusivamente da personale medico delle SS dove uno o più dottori a turno si occupavano del  «servizio alla rampa».

In questa fase le SS mantenevano un comportamento gentile ed accondiscendente al fine di mascherare le loro intenzioni e velocizzare le operazioni di scarico e selezione, infondendo falsa fiducia nei prigionieri appena arrivati, normalmente stanchi e confusi dal lungo viaggio.

     I detenuti dichiarati abili al lavoro venivano condotti negli edifici dei bagni, dove dovevano anzitutto consegnare biancheria ed abiti civili, nonché tutti i monili di cui erano in proprietà; venivano privati, inoltre, dei documenti d'identità nel caso li possedessero.
 
Uomini e donne potevano conservare solo un fazzoletto di stoffa; agli uomini era concesso serbare la sola cintura dei pantaloni eventualmente posseduta.
     Successivamente, i prigionieri venivano spinti nel locale in cui erano consegnati ai barbieri, che li radevano su tutto il corpo.

L'operazione era condotta in maniera sbrigativa, dopo aver inumidito le zone sottoposte a rasatura con uno straccio intriso di liquido disinfettante.
     Passaggio successivo era la doccia, cui seguiva la distribuzione del vestiario da campo: una casacca, un paio di pantaloni ed un paio di zoccoli.

Rivestiti dell'abbigliamento da campo, i prigionieri venivano poi registrati compilando un modulo con i dati personali (Häftlings-Personalbogen) e con l'indirizzo dei familiari più prossimi. 
     I detenuti ricevevano, poi, un numero progressivo che, per tutta la durata del soggiorno all'interno del campo di concentramento, ne avrebbe sostituito il nome. Tale numero era tatuato sul braccio sinistro del prigioniero attraverso uno speciale timbro di metallo, sul quale venivano fissate cifre interscambiabili fatte di aghi della lunghezza di circa un centimetro.

Dalla pratica del tatuaggio erano esentati i cittadini tedeschi e i prigionieri "da educare". Il numero di matricola, impresso su un pezzo di tela, era anche cucito sul lato sinistro della casacca, all'altezza del torace, e sulla cucitura esterna della gamba destra dei pantaloni.
Al numero era associato un contrassegno colorato, che identificava le diverse categorie di detenuto:
  • un triangolo di colore rosso identificava i prigionieri politici, nei cui confronti era stato spiccato un mandato di arresto per ragioni di pubblica sicurezza;
  • una stella a sei punte di colore giallo identificava i prigionieri ebrei;
  • un triangolo verde identificava i prigionieri criminali comuni ;
  • un triangolo di colore nero identificava gli "asociali";
  • un triangolo di colore viola identificava i Testimoni di Geova;
  • i religiosi cattolici ricevevano un triangolo di colore rosso, perché generalmente internati in seguito ad azioni repressive naziste rivolte contro l'autorità;
  • un triangolo di colore rosa identificava i prigionieri omosessuali;
  • un triangolo di colore marrone identificava i prigionieri "zingari"
  • un triangolo di colore verde appoggiato sulla base identificava i prigionieri assoggettati a misure di sicurezza, dopo che avevano scontato la pena loro inflitta;
  • una lettera "E" prima del numero di matricola, identificava i detenuti "da educare" (Erziehungshäftling);
  • un cerchietto di colore rosso recante la sigla "IL" (Im Lager, nel campo) identificava i prigionieri ritenuti pericolosi o sospetti di tentare la fuga;
  • un cerchietto di colore nero identificava i prigionieri della "compagnia penale".
Sul triangolo che identificava la categoria, era anche dipinto o impresso con inchiostro, l'iniziale tedesca della nazionalità del detenuto, a meno che questi non fosse cittadino tedesco o apolide.

 La registrazione proseguiva poi con tre foto che ritraevano il detenuto di fronte, di profilo destro e di profilo sinistro.


     I detenuti ritenuti "abili al lavoro" dovevano lavorare fino allo stremo per numerose ditte tedesche, tra cui la I.G. Farben, produttrice del gas che serviva a sterminarli, la Metal Union e la Siemens.

     Nel campo non c'erano servizi igienici, nessuna assistenza medica, fame ed epidemie erano all'ordine del giorno.

All’arrivo del convoglio che trasportava Franz e i suoi familiari, i militari tedeschi cominciarono a dare le regole, ma quasi nessuno riusciva a comprendere la loro lingua.

Tra i pochi che conoscevano il tedesco c’era Franz che non appena sentì quelle urla abbracciò Ester e i suoi suoceri.

- Amore andate dietro le altre donne. Non vi opponete mai. Ci vedremo presto. A papà penso io.

     Il tempo di una lacrima discendere sul volto di Ester separò i due con uno scossone di un soldato armato.


Dopo aver diviso tutti gli uomini e le donne, li sistemarono rispettivamente in due grandi stanzoni.

     Circa trecento donne furono subito portate nelle camere a gas con la promessa di una doccia ristoratrice dopo il lungo viaggio.

Furono fatte spogliare e fu loro detto di appendere i vestiti agli appendiabiti per poi reindossarli dopo la doccia.

Serviva solo ad evitare tumulti.

In pochi minuti dalla fuoruscita di acqua e gas quella stanza contò trecento vittime innocenti tra grida, dolore e silenzio.

Le restanti donne, tra cui Ester e sua madre,  seguirono la “normale” procedura, e subito dopo furono accompagnate in una camerata di circa cinquanta metri quadrati, per circa cento posti letto sistemati su più piani.

Unico avviso fu quello di riposare.

La prassi seguì fedelmente le istruzioni impartite.

Ogni volta che in un convoglio arrivavano uomini più del dovuto, molti di loro dovevano essere soppressi per non creare sovraffollamento.

In genere questa gente era visibilmente la più debole.






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